ARTROSI DEL GINOCCHIO

lunedì 14 gennaio 2013


Come si curano
le contratture muscolari

Schiena bloccata? Riposo a letto per 24-48 ore, abbinato ad antinfiammatori o miorilassanti

L'irrigidimento della muscolatura può dare origine a una contrattura che, se non trattata, causa cervicalgia, dorsalgia o lombalgia, se non tutti e tre i problemi insieme. In altre parole il mal di schiena.

CAUSE. «Possono provocare contratture le posture sbagliate (posizioni scorrette che obbligano i muscoli a un sovraccarico di lavoro), i colpi di freddo e i periodi prolungati di stress», spiega il fisiatra Maurizio Lopresti (puoi chiedergli un consulto), specialista in riabilitazione all'Istituto ortopedico Gaetano Pini di Milano.

SINTOMI. La sensazione che si avverte è quella di un crampo perenne e doloroso lungo i fasci muscolari della schiena. In genere il male scompare in 15 giorni.
CURE. «Durante la fase acuta del dolore vale una regola aurea: riposo a letto per 24-48 ore, abbinato ad antinfiammatori o miorilassanti (decontratturanti muscolari)», dice Lopresti. «I farmaci più efficaci sono quelli acquistabili con ricetta medica. Esistono anche antidolorifici da banco in gel, crema o sotto forma di cerotti. Se il mal di schiena permane per oltre un mese, è necessario passare alle indagini diagnostiche».

FISIOTERAPIA. «Contro il mal di schiena provocato da contratture muscolari sono utili varie tecniche di fisioterapia ed esercizi antalgici da fare a casa», continua il fisiatra.

mercoledì 2 gennaio 2013


La traumatologia muscolare nella pratica sportiva riveste un ruolo fondamentale sia per durata sia per gravità. Tale tipo di patologia, infatti, pur non essendo rilevata statisticamente, incide notevolmente come frequenza sulle cause di assenza dal campo di allenamento. Tra gli eventi traumatici che si verificano più frequentemente possiamo trovare tutta una serie di patologie che si differenziano tra loro per il grado di gravità del danno muscolare. Si parla infatti di contrattura, elongazione o stiramento, distrazione e strappo muscolare.
 Tra le varie classificazioni esistenti possiamo trovare anche quella che definisce il danno muscolare come una distrazione dove l’evento lesivo è causato da un trauma indiretto che provoca una rapida e violenta trazione delle fibre muscolari durante la contrazione. Tale lesione può essere associata o no a interruzione delle fibre muscolari. In questo caso parleremo di:
·       Contrattura (distrazione senza soluzione di continuità),
·       Stiramento (distrazione con lesione di pochi fascicoli o miofibrille)
·       Strappo (distrazione con rottura di molte fibrille e conseguente stravaso ematico più o meno importante)
Anche la sintomatologia varia secondo il tipo di lesione, e più precisamente troveremo:
Ø     Nella contrattura il muscolo è dolente e la palpazione profonda aumenta la sintomatologia; anche nei casi di dolore d’intensità minima o moderata, si ha un’importante impotenza funzionale a causa dell’incoordinazione fra muscoli agonisti e antagonisti.
Ø     Nello stiramento il dolore appare in maniera violenta e improvvisa, ma spesso non pregiudica la possibilità di continuare l’allenamento, anche se si è costretti a ridurre la performance. Altre volte invece, l’impotenza funzionale è immediata, a causa della contrattura muscolare secondaria allo stiramento stesso. Nel primo caso il dolore maggiore si avverte dopo l’allenamento o addirittura il giorno dopo, mentre nel secondo caso il giorno successivo possiamo trovare già uno stravaso ematico (se la lesione è superficiale). La differenza tra i due casi è dettata dalla quantità di miofibrille lesionate.
Ø     Nel caso di uno strappo muscolare invece il dolore è di tipo trafittivo con impotenza funzionale totale. Obiettivamente si può apprezzare subito un ematoma, provocare notevole   anche alla palpazione superficiale e avere l’impossibilità di allungare il muscolo strappato.
Questa patologia muscolare può essere provocata da varie cause:
1.     Cause meccaniche: tra queste troviamo delle brusche trazioni sulle fibre muscolari, un’eccessiva ripetizione di un gesto atletico eseguito ad alta velocità oppure un sovraccarico al muscolo stesso.
2.     Cause predisponenti: qui troviamo tutta una serie di cause la cui individuazione ci permette di combattere e prevenire il problema. Tra queste mi sembra doveroso sottolineare:

a)    Fattori ambientali quali il freddo, l’alto tasso di umidità e le condizioni del terreno di allenamento;

b)    Fattori tecnici: insufficiente riscaldamento, insufficiente recupero dopo un allenamento impegnativo sia per durate che per intensità, errata metodologia di allenamento o errata esecuzione dell’allenamento stesso, deficit di flessibilità ed elasticità muscolare, incoordinazione tra muscoli agonisti e antagonisti, deficit della tecnica di corsa o delle elementari norme igieniche di vita, quali alimentazione sana, riposo adeguato, rispetto dello stress e della fatica.
Come accennato prima, molte di queste cause possono essere evitate o rimosse, altre volte purtroppo, però incappiamo ugualmente in una patologia muscolare. A questo punto occorre fare una diagnosi accurata, e una mano esperta è già in grado di fare una diagnosi differenziale mediante la palpazione, saggiando l’entità del tono muscolare e un eventuale stravaso ematico. Dove l’obbiettività non è francamente valutabile, occorre aiutarsi con l’ecografia dove il medico radiologo può valutare con precisione l’entità del danno. Purtroppo spesso la contrattura muscolare non viene diagnosticata con questo esame strumentale perché il medico non rileva un’interruzione di continuità delle fibre muscolari. Ecco allora che spesso si deve ricorrere alla risonanza magnetica o alla termografia.
Un altro problema da risolvere è quello dei tempi di recupero. Tutti si auspicano una guarigione lampo, ma purtroppo anche nelle mani di stregoni o guaritori miracolosi, se non si rispettano i tempi biologici di guarigione, si rischia solo di posticipare il ritorno sui campi di allenamento. Studi eseguiti su migliaia di casi hanno ormai definito che occorre per una completa guarigione almeno 4-5 giorni per una contrattura, dai 10 ai 20 giorni per uno stiramento e oltre un mese per uno strappo muscolare importante (salvo complicazioni!). Il ritorno all’attività sportiva deve in ogni caso avvenire quando si è certi della scomparsa di fenomeni infiltrativi e reazioni infiammatorie, mentre il ritorno all’attività agonistica deve coincidere con il pieno recupero del tono e trofismo muscolare.

La terapia per queste lesioni prevede inizialmente l’applicazione di ghiaccio locale e il riposo dell’arto per un periodo di tempo variabile secondo il grado di lesione subito. La somministrazione di analgesici, emostatici e miorilassanti favorisce la guarigione, ma nelle fasi iniziali il ghiaccio e il riposo sono la terapia migliore. Nelle fasi successive è bene iniziare un trattamento fisioterapico e riabilitativo che varia secondo la patologia:
·       Nella contrattura dopo i 2-3 giorni di riposo è bene eseguire della massoterapia miorilassante e dello stretching.
·       Nello stiramento dopo il periodo di riposo e di crioterapia (nelle prime 48 ore) si può iniziare della fisioterapia strumentale (es.: laserterapia) e poi della massoterapia e della rieducazione funzionale con modalità da concordare con l’equipe riabilitativa (fisioterapista, medico sportivo, ortopedico, radiologo  …..)
·       Nello strappo muscolare dopo un riposo minimo di due settimane e la solita crioterapia nelle prime due giornate, si può programmare l’inizio del trattamento riabilitativo con le stesse modalità che abbiamo visto nello stiramento, dopo 7-10 giorni e successivamente un’eventuale fibrolisi diacutanea per combattere e prevenire la fibrosi cicatriziale e le possibili aderenze tissutali.
Il trattamento riabilitativo prevede il rispetto dei naturali e  fisiologici tempi di recupero, la correzione degli squilibri muscolari, il recupero del corretto tono e trofismo muscolare oltre alla ripresa della normale elasticità e flessibilità dei muscoli interessati.
Ricordarsi in ogni caso di:
·      non applicare calore sulla parte interessata, ma anzi  applicare ghiaccio nelle prime 24-48 ore
·      non sottoponetevi nell’immediato a sedute di massoterapia
·      non eseguite stretching appena accaduto l’evento acuto,
·      fatevi seguire nel programma riabilitativo da personale qualificato
  bastianelli

domenica 25 novembre 2012


Usura delle cartilagini del ginocchio

L’osteoartrosi è il tipo più comune di patologia articolare ad evoluzione cronica caratterizzata da lesioni degenerative e produttive a carico della cartilagine delle articolazioni, con possibile coinvolgimento di altri tessuti, in particolare la membrana sinoviale e l’osso sub-condrale.

Di seguito parleremo nello specifico di osteoartrosi a carico della cartilagine del ginocchio o cartilagine del ginocchio consumata.

USURA CARTILAGINE GINOCCHIO
La cartilagine è un tipo di tessuto connettivo, di aspetto traslucido, di colore bianco madreperlato, che ricopre le estremità dei capi articolari.
Una cartilagine sana permette lo scorrimento reciproco delle superfici articolari ed è in grado di ammortizzare il carico durante i movimenti. Nell’osteoartrosi del ginocchio si nota che la cartilagine si consuma, andando a denudare l’osso sub condrale così da rendere la sfregamento dei capi articolari doloroso e provocare tumefazione e impotenza funzionale. Con il passare del tempo la cartilagine può perdere la sua conformazione e possono svilupparsi ai lati delle articolazioni delle piccole formazioni ossee chiamate osteofiti. Inoltre, frammenti di osso o cartilagine possono staccarsi e restare liberi all’interno dello spazio articolare.

Le persone con osteoartrosi al ginocchio di solito presentano sintomi come dolore articolare e limitazione durante i movimenti. L’osteoartrosi è la patologia articolare più diffusa al mondo, aumenta con l’età e presenta un’evoluzione cronica.
I fattori di rischio possono essere sia esogeni (lesioni pregresse all’articolazione o aumento del carico) che endogeni (età, sesso o ereditarietà) [Consensus EULAR 2003 (Punzi et al., 2004) e OARSI part III (Zhang W et al., 2009)]:
  • ETÀ: prima dei 50 anni l’interessamento articolare è simile tra uomo e donna, dopo tale età, le donne presentano una maggiore incidenza, forse in relazione all’entrata in menopausa. Numerosi studi forniscono dati su come l’età influisca sul metabolismo cartilagineo, riducendo ad esempio la resistenza dei condrociti (cellule che regolano la produzione di cartilagine) agli stress ossidativi e causando un accumulo di sostanze nocive. Inoltre alcune occupazioni che richiedono un uso ripetitivo di determinate articolazioni per un lungo periodo di tempo sono associate allo sviluppo di specifiche forme di osteoartrosi e di usura delle articolazioni, come ad esempio professioni che richiedono di stare molto tempo in posizione eretta o lavori che comportano carichi molto pesanti.
  • PESO CORPOREO: questa è una variabile estremamente importante sia per la notevole influenza sullo sviluppo dell’osteoartrosi e sulla sintomatologia, sia perché costituisce un fattore modificabile con la dieta. Una modesta riduzione del peso e un moderato esercizio fisico determinano un miglioramento nella riduzione del dolore e nella funzionalità articolare di entità maggiore rispetto ai due interventi eseguiti singolarmente (Messier SP et al., 2004). Inoltre si può affermare che una riduzione del peso del 10% è in grado di migliorare la funzionalità articolare del 28% (Christensen R et al., 2005).
  • SPORT: mentre l’attività fisica “ricreazionale” è consigliabile e correlata con una diminuzione del dolore ed un incremento della funzionalità fisica, la pratica agonistica è stata ampiamente correlata allo sviluppo di varie forme di osteoartrosi distrettuale. Circa un terzo degli atleti operati per problemi al ginocchio da sport, di origine sia traumatica che microtraumatica, evidenzia un usura della cartilagine di vario grado. L'insorgenza di problemi cartilaginei così frequenti nello sport deriva da meccanismi di usura (per attrito all'interfaccia articolare da adesione e abrasione, per fatica da microtraumi ripetuti o per impatto da compressione) o da meccanismi traumatici (lesioni da torsione o da impatto, insulti ripetuti, patologia meniscale concomitante, patologia legamentosa dei crociati) o da fattori variabili quali immobilizzazione,fratture o precedenti interventi: tutto ciò si traduce in difetti della superficie articolare, che possono essere parziali o a tutto spessore fino a raggiungere l'osso sub-condrale.
ARTICOLAZIONE E CARTILAGINE DEL GINOCCHIO
Le articolazioni occupano lo spazio tra due ossa mobili che si congiungono e permettendo un movimento dolce e assorbendo il carico e l’attrito durante attività come camminare o correre.
  1. Cartilagine: rivestimento robusto che ricopre l’estremità di ogni osso;
  2. Capsula articolare: membrana sottile che contiene le ossa e mantiene insieme le altre parti dell’articolazione;
  3. Sinovia: membrana sottile che riveste l’articolazione;
  4. Liquido sinoviale: fluido che lubrifica l’articolazione e nutre la cartilagine;
  5. Legamenti, tendini e muscoli: tessuti che mantengono stabile l’articolazione e ne permettono il movimento. I legamenti sono robusti, simili a corde che uniscono un osso ad un altro. I tendini sono strutture robuste, corde fibrose che uniscono i muscoli alle ossa. I muscoli sono fasci di cellule specializzate che contraendosi producono il movimento quando sono stimolati dai nervi.
La cartilagine del ginocchio è un tessuto altamente organizzato, non vascolarizzato, non innervato e denso. Essa è costituita da:
  • ACQUA per il 60-80%
  • COLLAGENE (una proteina forte ed elastica). Le fibre di collagene formano una struttura simile a quella delle travi di acciaio che sostengono un ponte.
  • PROTEOGLICANI (molecole grandi ed elastiche). I proteoglicani si trovano all'interno della struttura del collagene dove attraggono, catturano e trattengono l'acqua.
  • CONDROCITI producono continuamente nuovo collagene e proteoglicani, inoltre producono anche alcuni enzimi (elastasi e iarulonidasi) che aiutano a demolire il vecchio collagene e i proteoglicani ormai danneggiati.
La cartilagine del ginocchio svolge due funzioni:

1. agisce come ammortizzatore per ridurre l’impatto sulle ossa;
2. fornisce una superficie che serve da frizione per un movimento dell’articolazione regolare, morbido e indolore.

Quando si esercita un sovraccarico di peso sulle articolazioni, la cartilagine spreme il liquido sinoviale dentro la capsula sinoviale e quando la pressione è allentata la cartilagine assorbe il liquido sinoviale come una spugna ed è questo flusso e riflusso che fa da cuscinetto e lubrifica ogni movimento.
La cartilagine del ginocchio è costantemente demolita e sostituita. C’è un equilibrio tra demolizione del vecchio tessuto e la sintesi del nuovo e nel caso in cui la cartilagine venga distrutta con una velocità maggiore rispetto alla velocità di sintesi, come nel caso dell’osteoartrosi, questo si traduce in dolore e rigidità.
La cartilagine, a causa di un’alterazione metabolica delle cellule che ne modulano l’accrescimento e l’omeostasi, va incontro ad usura determinando:
  • Degenerazione con fibrillazione;
  • Fissurazione;
  • Ulcerazione;
  • Perdita a tutto spessore della superficie articolare.
La fibrillazione cartilaginea si caratterizza per la comparsa di discontinuità sulla superficie della cartilagine che appare frastagliata. Lesioni più profonde ed estese portano a vere e proprie fessurazioni (fenditure nella cartilagine) e ulcerazioni, con l’avvio di uno stato infiammatorio persistente. L’efficienza dei condrociti nel sintetizzare nuova cartilagine peggiora in presenza di fenomeni infiammatori e si stabilisce quindi un circolo vizioso.

SINTOMI DELLA CARTILAGINE GINOCCHIO CONSUMATA
L’espressività clinica dell’ osteoartrosi si manifesta con una sintomatologia varia e l’evoluzione è lenta e spesso imprevedibile.
I sintomi clinici dell’ osteoartrosi sono spesso: dolore osteoarticolare, rigidità articolare, crepitii, deformazione articolare, limitazione funzionale.

Stati dolorosi:
  • si manifestano alla deambulazione, salendo e scendendo le scale
  • aumentano con lo sforzo, accompagnati da rigidità mattutina di breve durata
Stati infiammatori:
  • talora di grado marcato, con recrudescenza notturna
  • con presenza di un versamento articolare a volte abbondante
Nella concezione più attuale l’osteoartrosi viene nettamente distinta dal fisiologico invecchiamento della cartilagine e definita come vera e propria malattia il cui primum movens è stato individuato in un’alterazione metabolica del condrocita. In seguito ad insulti di varia natura, questa cellula va incontro ad una sofferenza cui segue un’alterata sintesi qualitativa e quantitativa dei componenti la matrice cartilaginea (collagene e proteoglicani) e la liberazione di una serie di mediatori ad attività condrolesiva (enzimi, citochine e sostanze proflogogene).

I CONDROPROTETTORI
Con il termine di condroprotettore si indicano tutte quelle sostanze capaci di intervenire a livello dei processi metabolici cartilaginei, ovvero di sintesi della cartilagine; si può pertanto definire condroprotettore qualsiasi sostanza in grado di:
  • stimolare la sintesi dei proteoglicani e del collagene
  • conservare le condizioni di vitalità dei condrociti
  • inibire i processi degradativi della cartilaginei
  • mantenere inalterate le caratteristiche del liquido sinoviale
Negli ultimi anni la ricerca scientifica ha focalizzato il proprio interesse sulla ricerca di principi attivi che rallentino il progredire dell’osteoartrosi e stimolino la riparazione delle cartilagini consumate.

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Dolori osteoarticolari e usura cartilagine del ginocchio: cause, sintomi e terapie

L’osteoartrosi è il tipo più comune di patologia articolare: colpisce la cartilagine delle articolazioni, in modo particolare la cartilagine del ginocchio, ed è caratterizzata da sintomi quali dolori osteoarticolari, rigidità osteoarticolare, infiammazione del ginocchio.

I dolori osteoarticolari sono una patologia comune perchè derivano da una progressiva usura della cartilagine del ginocchio dovuta a sovvrappeso, sforzi prolungati, attività sportiva ad alti livelli o costante, aumento dell'età.

L'esercizio fisico mirato alla mobilità della cartilagine del ginocchio, coaudiuvato da integratori per la cartilagine del ginocchio sono utili a ridurre i sintomi dell'usura della cartilagine del ginocchio e dell'osteoartrosi. 

domenica 11 novembre 2012

Linee Guida Patologie >> Rachide Cervicale >> Ernia del disco Cervicale
L'ernia cervicale è una sporgenza del disco intervertebrale. Dipendentemente dalla direzione della sporgenza si può avere compressione della radice nervosa diretta ad uno degli arti superiori ed, eventualmente, anche il midollo spinale. I sintomi tipici dell'ernia cervicale sono il dolore e debolezza dell'arto superiore, la "cervicobrachialgia", spesso con parestesie alla mano (formicolio).
La fase acuta è solitamente al mattino, spesso accompagnata da torcicollo e dolore nello spostamento della testa, in tutte le direzioni. Il paziente è disturbato dal dolore al collo, scapola, braccio, avambraccio, mano. Sulla mano si manifestano sensazioni di scossa elettrica e formicolii alle dita, con perdite di sensibilità e dell'agilità dei movimenti, talora vera perdita di forza. Ma il complesso di sintomi può risultare di difficile interpretazione anche per il medico. Inoltre, laddove la compressione sul midollo spinale diviene importante, la motilita e la sensibilità degli arti inferiori. Le cause dell'ernia sono l'usura o la degenerazione del disco,
molto spesso accompagnata da trauma cervicale (colpo di frusta). Vi è spesso una predisposizione fisica/genetica. L'ernia colpisce usualmente prima dei 50 anni. Il livello più colpito è C6-C7 (70%), corrispondente all'attaccatura del collo sul busto, segue C5-C6 (20%).

Diagnosi dell'ernia cervicale
Vi sono alcune manovre che evidenziano la sofferenza cervicale e radicolare. L'estensione della testa intensifica il dolore (manifesto su braccio e collo), mentre l'elevazione delle braccia (o di un braccio) dietro al collo allevia la sofferenza. Gli indizi di una sofferenza radicolare e/o midollare per la presenza di osteofiti e per il restringimento del canale vertebrale e/o del forame di coniugazione vengono evidenziati anche da una radiografia del rachide cervicale. La RM risonanza magnetica è il miglior esame diagnostico per l'ernia cervicale, permettendo di valurare il rapporto del midollo col canale cervicale e delle radici col forame di comiugazione.

Trattamento
La terapia medica mira al controllo dell'infiammazione e del dolore. I farmaci più comunemente impiegati sono i FANS (farmaci antinfiammatori non steoirdei) che associano in proporzioni più o meno diversa, anche un'attività analgesica. Quando si vuole un'azione più intensa si possono associare cortisonici ed antidolorifici, con miorilassanti, se è presente spasmo muscolare.
Siccome l'irritazione meccanica prodotta dai movimenti del collo contribuisce ad esacerbare i sintomi, risulta efficace per qualche tempo l'uso di un collare. Anche le tecniche fisioterapiche di trazione cervicale, laser-terapia e Tens riescono ad alleviare 
i sintomi.Passata la fase acuta esercizi di rinforzo associati a tecniche di pompage risultano efficaci nel riequilibrare il tratto cervicale.

  

mercoledì 31 ottobre 2012


i mali di stagione


LA LOMBALGIA
La lombalgia è stata definita il “male del secolo” ed è una delle espressione dello stress;
anch’esso tra i maggiori responsabili dei disagi fisici della popolazione dei paesi industrializzati.
Non è una malattia, ma il sintomo di un problema. Il dato allarmante è che la patologia si sta
diffondendo anche tra i bambini.
La lombalgia è una patologia molto frequente: la maggioranza delle persone ne ha avuto
nella sua vita almeno un episodio. Può insorgere in modo acuto (dolore improvviso che si protrae
per più giorni e che tende a risolversi) o cronico (dolore che insorge in modo lento, in maniera
subdola, e che tende a recidivare). I sintomi obbiettivi sono: dolore nella parte bassa della
schiena,spontaneo e accentuato dai movimenti; contrattura delle masse muscolari della zona
lombare; rigidità del tronco.
La lombalgia, se non "curata" può degenerare in "lombosciatalgia", soprattutto nelle persone
meno giovani: il nucleo polposo del disco, per le continue sollecitazioni, comincia ad uscire e a farsi
strada attraverso l'anello. Si può parlare di protusione discale o ernia espulsa. Il disco, quando esce
dalla sua sede, può comprimere le radici dei nervi (nella stragrande maggioranza le radici dello
sciatico), provocando dolore e formicolii lungo gamba, fino ad arrivare, in alcuni casi, a paralizzare
i muscoli della gamba o del piede.
La lombalgia riguarda un tratto ben preciso della colonna vertebrale relativo al dolore o
addirittura al blocco della regione lombare del rachide.
L’atteggiamento nei confronti della lombalgia acuta è cambiato: si è passati da un
trattamento passivo ad un trattamento attivo.
Il paziente lombalgico che prima si affidava passivamente al riposo a letto, ai farmaci, alle
mani del terapista, alla protezione esterna del tutore ortopedico ed alla “macchinetta“ miracolosa
capace di eliminare il dolore, ora deve diventare sempre più protagonista del suo trattamento,
conoscendo la sua colonna vertebrale, la struttura e il funzionamento, scoprendo qual è il
meccanismo che produce il dolore ed evitando di azionarlo, conoscendo gli esercizi per
decomprimere i dischi intervertebrali, per effettuare i compensi e per proteggere la sua colonna.
In presenza di lombalgia acuta è sufficiente la visita del proprio medico di base. È necessaria
la visita dello specialista solo in presenza di sciatalgia, ricadute frequenti, dolore continuo che non
riesce a scomparire o nei casi in cui il medico lo ritenga opportuno.
In presenza di dolore acuto è importante non drammatizzare: l’80% della popolazione adulta
soffre di dolori vertebrali, è quindi possibile che capiti a tutti, soprattutto a chi ha “maltrattato” la
propria colonna.
In parte le statistiche risultano positive, perché hanno evidenziato che nove pazienti su dieci
stanno meglio entro un mese anche senza effettuare nessun trattamento. Ma d’altra parte le stesse
statistiche mettono in guardia, perché coloro che hanno avuto un primo episodio di mal di schiena,
sono soggetti a ricadute con una percentuale elevata che oscilla tra il 60% e l’85%. Questo,
naturalmente, succede più frequentemente a chi si cura solo passivamente e a chi resta sempre
esposto agli stessi fattori di rischio senza cercare di ridurli.
La prognosi per i pazienti che presentano lombalgia acuta è così favorevole che l’uso della
diagnostica per immagini é raramente necessario.
Se il paziente non presenta anomalie neurologiche, se non c’è stato trauma e se non si
sospetta un tumore né un’infezione, non si dovrebbe usare alcun esame strumentale nelle prime sei
settimane.
Qualora, trascorso questo tempo, non ci siano miglioramenti clinici, nel caso in cui venga
preso in considerazione l’intervento chirurgico o quando si teme una patologia grave, si possono
effettuare esami per immagini.
Ormai è dimostrata una notevole incidenza di anomalie anatomiche (ernie discali, stenosi,
spondilolistesi) in individui asintomatici: esse potrebbero portare a terapie inappropriate o a far
preoccupare inutilmente per il suono minaccioso dei nomi di tali patologie.
In caso di lombalgia acuta, centrale, senza irradiazione agli arti inferiori, anni fa venivano
prescritti due giorni di riposo a letto; se la situazione era più grave, cioè in caso di lombosciatalgia,
si prescriveva una permanenza a letto più lunga: da sette, dieci giorni fino ad un massimo di
quindici.
Diversi studi hanno dimostrato che un riposo a letto prolungato (da quattro a sette giorni)
non procura alcun vantaggio rispetto ad un riposo breve o nullo (da zero a due giorni).
Ci sono numerosi studi che confermano il valore di un programma specifico di riabilitazione
in fase acuta. Gli esercizi specifici eseguiti correttamente non aumentano la lombalgia, ma hanno un
ruolo importante nel trattamento immediato del dolore acuto, garantendo l’integrità del sistema
muscolo-scheletrico. E’ scorretto pensare che l’esercizio attivo sia sbagliato per una persona che ha
dolore.
Il dolore è diventato il migliore alleato della rieducazione: infatti, è molto più facile
rieducare un soggetto che soffre di mal di schiena a sedersi e muoversi correttamente quando, in
fase acuta, i movimenti scorretti provocano dolore. Allo stesso modo è più facile convincerlo ad
eseguire regolarmente gli esercizi, quando si accorge che, con la loro ripetizione, può ridurre il suo
dolore.
Nel caso di lombalgia acuta con forti dolori la terapia può essere diversa:la scelta più
adeguata è legata alla intensità delle manifestazioni ed allo scopo terapeutico. Dolori acuti, intensi e
violenti, devono essere trattati, innanzitutto, con i farmaci antinfiammatori e decontratturanti. La
scelta è piuttosto ampia, ma deve essere sempre prescritta dal medico curante o, meglio ancora, dal
medico specialista.
Il trattamento fisioterapico della lombalgia include: laser-terapia, magneto-terapia,
ionoforesi, stretching, ginnastica posturale e, se non è presente dolore, mobilizzazione attiva e
ginnastica per allungamento, rinforzo muscoli del corpo, in particolare dei muscoli addominali.
La lombalgia spesso esprime un decadimento fisico. Il mal di schiena si evita soprattutto
mantenendo un buon tono posturale ed osteo-muscolare. Vanno evitati atteggiamenti viziati sul
lavoro ed è fondamentale un'attività fisica di base in palestra. La menopausa può essere un notevole
fattore aggravante e predisponente per via dell'osteoporosi, del decadimento muscolare e della
lassità legamentosa.
Alcuni degli esercizi che si possono effettuare per attenuare il dolore e per correggere delle
posture viziate sono i seguenti (ogni posizione andrebbe tenuta per almeno 60 secondi, con una fase
di riposo di 30 secondi):
retroversione del bacino: espirare lentamente e appiattire il tratto
lombare contro il piano d'appoggio (contraendo gli addominali).
Inspirare durante il rilasciamento.
autoallungamento: espirare lentamente ed appiattire il tratto
lombare, allungare il collo e retrarre il mento verso il torace
espirando. Inspirare durante il rilasciamento.
rilassamento: afferrate le ginocchia con le mani portandole il più vicino
possibile al petto espirando. Inspirare durante il rilasciamento.
Ps. L’esercizio può essere eseguito anche a gambe alternate.
autoallungamento: dalla posizione in ginocchio, seduti sui talloni, allungarsi
in avanti scivolando sulle mani