ARTROSI DEL GINOCCHIO

domenica 25 novembre 2012


Usura delle cartilagini del ginocchio

L’osteoartrosi è il tipo più comune di patologia articolare ad evoluzione cronica caratterizzata da lesioni degenerative e produttive a carico della cartilagine delle articolazioni, con possibile coinvolgimento di altri tessuti, in particolare la membrana sinoviale e l’osso sub-condrale.

Di seguito parleremo nello specifico di osteoartrosi a carico della cartilagine del ginocchio o cartilagine del ginocchio consumata.

USURA CARTILAGINE GINOCCHIO
La cartilagine è un tipo di tessuto connettivo, di aspetto traslucido, di colore bianco madreperlato, che ricopre le estremità dei capi articolari.
Una cartilagine sana permette lo scorrimento reciproco delle superfici articolari ed è in grado di ammortizzare il carico durante i movimenti. Nell’osteoartrosi del ginocchio si nota che la cartilagine si consuma, andando a denudare l’osso sub condrale così da rendere la sfregamento dei capi articolari doloroso e provocare tumefazione e impotenza funzionale. Con il passare del tempo la cartilagine può perdere la sua conformazione e possono svilupparsi ai lati delle articolazioni delle piccole formazioni ossee chiamate osteofiti. Inoltre, frammenti di osso o cartilagine possono staccarsi e restare liberi all’interno dello spazio articolare.

Le persone con osteoartrosi al ginocchio di solito presentano sintomi come dolore articolare e limitazione durante i movimenti. L’osteoartrosi è la patologia articolare più diffusa al mondo, aumenta con l’età e presenta un’evoluzione cronica.
I fattori di rischio possono essere sia esogeni (lesioni pregresse all’articolazione o aumento del carico) che endogeni (età, sesso o ereditarietà) [Consensus EULAR 2003 (Punzi et al., 2004) e OARSI part III (Zhang W et al., 2009)]:
  • ETÀ: prima dei 50 anni l’interessamento articolare è simile tra uomo e donna, dopo tale età, le donne presentano una maggiore incidenza, forse in relazione all’entrata in menopausa. Numerosi studi forniscono dati su come l’età influisca sul metabolismo cartilagineo, riducendo ad esempio la resistenza dei condrociti (cellule che regolano la produzione di cartilagine) agli stress ossidativi e causando un accumulo di sostanze nocive. Inoltre alcune occupazioni che richiedono un uso ripetitivo di determinate articolazioni per un lungo periodo di tempo sono associate allo sviluppo di specifiche forme di osteoartrosi e di usura delle articolazioni, come ad esempio professioni che richiedono di stare molto tempo in posizione eretta o lavori che comportano carichi molto pesanti.
  • PESO CORPOREO: questa è una variabile estremamente importante sia per la notevole influenza sullo sviluppo dell’osteoartrosi e sulla sintomatologia, sia perché costituisce un fattore modificabile con la dieta. Una modesta riduzione del peso e un moderato esercizio fisico determinano un miglioramento nella riduzione del dolore e nella funzionalità articolare di entità maggiore rispetto ai due interventi eseguiti singolarmente (Messier SP et al., 2004). Inoltre si può affermare che una riduzione del peso del 10% è in grado di migliorare la funzionalità articolare del 28% (Christensen R et al., 2005).
  • SPORT: mentre l’attività fisica “ricreazionale” è consigliabile e correlata con una diminuzione del dolore ed un incremento della funzionalità fisica, la pratica agonistica è stata ampiamente correlata allo sviluppo di varie forme di osteoartrosi distrettuale. Circa un terzo degli atleti operati per problemi al ginocchio da sport, di origine sia traumatica che microtraumatica, evidenzia un usura della cartilagine di vario grado. L'insorgenza di problemi cartilaginei così frequenti nello sport deriva da meccanismi di usura (per attrito all'interfaccia articolare da adesione e abrasione, per fatica da microtraumi ripetuti o per impatto da compressione) o da meccanismi traumatici (lesioni da torsione o da impatto, insulti ripetuti, patologia meniscale concomitante, patologia legamentosa dei crociati) o da fattori variabili quali immobilizzazione,fratture o precedenti interventi: tutto ciò si traduce in difetti della superficie articolare, che possono essere parziali o a tutto spessore fino a raggiungere l'osso sub-condrale.
ARTICOLAZIONE E CARTILAGINE DEL GINOCCHIO
Le articolazioni occupano lo spazio tra due ossa mobili che si congiungono e permettendo un movimento dolce e assorbendo il carico e l’attrito durante attività come camminare o correre.
  1. Cartilagine: rivestimento robusto che ricopre l’estremità di ogni osso;
  2. Capsula articolare: membrana sottile che contiene le ossa e mantiene insieme le altre parti dell’articolazione;
  3. Sinovia: membrana sottile che riveste l’articolazione;
  4. Liquido sinoviale: fluido che lubrifica l’articolazione e nutre la cartilagine;
  5. Legamenti, tendini e muscoli: tessuti che mantengono stabile l’articolazione e ne permettono il movimento. I legamenti sono robusti, simili a corde che uniscono un osso ad un altro. I tendini sono strutture robuste, corde fibrose che uniscono i muscoli alle ossa. I muscoli sono fasci di cellule specializzate che contraendosi producono il movimento quando sono stimolati dai nervi.
La cartilagine del ginocchio è un tessuto altamente organizzato, non vascolarizzato, non innervato e denso. Essa è costituita da:
  • ACQUA per il 60-80%
  • COLLAGENE (una proteina forte ed elastica). Le fibre di collagene formano una struttura simile a quella delle travi di acciaio che sostengono un ponte.
  • PROTEOGLICANI (molecole grandi ed elastiche). I proteoglicani si trovano all'interno della struttura del collagene dove attraggono, catturano e trattengono l'acqua.
  • CONDROCITI producono continuamente nuovo collagene e proteoglicani, inoltre producono anche alcuni enzimi (elastasi e iarulonidasi) che aiutano a demolire il vecchio collagene e i proteoglicani ormai danneggiati.
La cartilagine del ginocchio svolge due funzioni:

1. agisce come ammortizzatore per ridurre l’impatto sulle ossa;
2. fornisce una superficie che serve da frizione per un movimento dell’articolazione regolare, morbido e indolore.

Quando si esercita un sovraccarico di peso sulle articolazioni, la cartilagine spreme il liquido sinoviale dentro la capsula sinoviale e quando la pressione è allentata la cartilagine assorbe il liquido sinoviale come una spugna ed è questo flusso e riflusso che fa da cuscinetto e lubrifica ogni movimento.
La cartilagine del ginocchio è costantemente demolita e sostituita. C’è un equilibrio tra demolizione del vecchio tessuto e la sintesi del nuovo e nel caso in cui la cartilagine venga distrutta con una velocità maggiore rispetto alla velocità di sintesi, come nel caso dell’osteoartrosi, questo si traduce in dolore e rigidità.
La cartilagine, a causa di un’alterazione metabolica delle cellule che ne modulano l’accrescimento e l’omeostasi, va incontro ad usura determinando:
  • Degenerazione con fibrillazione;
  • Fissurazione;
  • Ulcerazione;
  • Perdita a tutto spessore della superficie articolare.
La fibrillazione cartilaginea si caratterizza per la comparsa di discontinuità sulla superficie della cartilagine che appare frastagliata. Lesioni più profonde ed estese portano a vere e proprie fessurazioni (fenditure nella cartilagine) e ulcerazioni, con l’avvio di uno stato infiammatorio persistente. L’efficienza dei condrociti nel sintetizzare nuova cartilagine peggiora in presenza di fenomeni infiammatori e si stabilisce quindi un circolo vizioso.

SINTOMI DELLA CARTILAGINE GINOCCHIO CONSUMATA
L’espressività clinica dell’ osteoartrosi si manifesta con una sintomatologia varia e l’evoluzione è lenta e spesso imprevedibile.
I sintomi clinici dell’ osteoartrosi sono spesso: dolore osteoarticolare, rigidità articolare, crepitii, deformazione articolare, limitazione funzionale.

Stati dolorosi:
  • si manifestano alla deambulazione, salendo e scendendo le scale
  • aumentano con lo sforzo, accompagnati da rigidità mattutina di breve durata
Stati infiammatori:
  • talora di grado marcato, con recrudescenza notturna
  • con presenza di un versamento articolare a volte abbondante
Nella concezione più attuale l’osteoartrosi viene nettamente distinta dal fisiologico invecchiamento della cartilagine e definita come vera e propria malattia il cui primum movens è stato individuato in un’alterazione metabolica del condrocita. In seguito ad insulti di varia natura, questa cellula va incontro ad una sofferenza cui segue un’alterata sintesi qualitativa e quantitativa dei componenti la matrice cartilaginea (collagene e proteoglicani) e la liberazione di una serie di mediatori ad attività condrolesiva (enzimi, citochine e sostanze proflogogene).

I CONDROPROTETTORI
Con il termine di condroprotettore si indicano tutte quelle sostanze capaci di intervenire a livello dei processi metabolici cartilaginei, ovvero di sintesi della cartilagine; si può pertanto definire condroprotettore qualsiasi sostanza in grado di:
  • stimolare la sintesi dei proteoglicani e del collagene
  • conservare le condizioni di vitalità dei condrociti
  • inibire i processi degradativi della cartilaginei
  • mantenere inalterate le caratteristiche del liquido sinoviale
Negli ultimi anni la ricerca scientifica ha focalizzato il proprio interesse sulla ricerca di principi attivi che rallentino il progredire dell’osteoartrosi e stimolino la riparazione delle cartilagini consumate.

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Dolori osteoarticolari e usura cartilagine del ginocchio: cause, sintomi e terapie

L’osteoartrosi è il tipo più comune di patologia articolare: colpisce la cartilagine delle articolazioni, in modo particolare la cartilagine del ginocchio, ed è caratterizzata da sintomi quali dolori osteoarticolari, rigidità osteoarticolare, infiammazione del ginocchio.

I dolori osteoarticolari sono una patologia comune perchè derivano da una progressiva usura della cartilagine del ginocchio dovuta a sovvrappeso, sforzi prolungati, attività sportiva ad alti livelli o costante, aumento dell'età.

L'esercizio fisico mirato alla mobilità della cartilagine del ginocchio, coaudiuvato da integratori per la cartilagine del ginocchio sono utili a ridurre i sintomi dell'usura della cartilagine del ginocchio e dell'osteoartrosi. 

domenica 11 novembre 2012

Linee Guida Patologie >> Rachide Cervicale >> Ernia del disco Cervicale
L'ernia cervicale è una sporgenza del disco intervertebrale. Dipendentemente dalla direzione della sporgenza si può avere compressione della radice nervosa diretta ad uno degli arti superiori ed, eventualmente, anche il midollo spinale. I sintomi tipici dell'ernia cervicale sono il dolore e debolezza dell'arto superiore, la "cervicobrachialgia", spesso con parestesie alla mano (formicolio).
La fase acuta è solitamente al mattino, spesso accompagnata da torcicollo e dolore nello spostamento della testa, in tutte le direzioni. Il paziente è disturbato dal dolore al collo, scapola, braccio, avambraccio, mano. Sulla mano si manifestano sensazioni di scossa elettrica e formicolii alle dita, con perdite di sensibilità e dell'agilità dei movimenti, talora vera perdita di forza. Ma il complesso di sintomi può risultare di difficile interpretazione anche per il medico. Inoltre, laddove la compressione sul midollo spinale diviene importante, la motilita e la sensibilità degli arti inferiori. Le cause dell'ernia sono l'usura o la degenerazione del disco,
molto spesso accompagnata da trauma cervicale (colpo di frusta). Vi è spesso una predisposizione fisica/genetica. L'ernia colpisce usualmente prima dei 50 anni. Il livello più colpito è C6-C7 (70%), corrispondente all'attaccatura del collo sul busto, segue C5-C6 (20%).

Diagnosi dell'ernia cervicale
Vi sono alcune manovre che evidenziano la sofferenza cervicale e radicolare. L'estensione della testa intensifica il dolore (manifesto su braccio e collo), mentre l'elevazione delle braccia (o di un braccio) dietro al collo allevia la sofferenza. Gli indizi di una sofferenza radicolare e/o midollare per la presenza di osteofiti e per il restringimento del canale vertebrale e/o del forame di coniugazione vengono evidenziati anche da una radiografia del rachide cervicale. La RM risonanza magnetica è il miglior esame diagnostico per l'ernia cervicale, permettendo di valurare il rapporto del midollo col canale cervicale e delle radici col forame di comiugazione.

Trattamento
La terapia medica mira al controllo dell'infiammazione e del dolore. I farmaci più comunemente impiegati sono i FANS (farmaci antinfiammatori non steoirdei) che associano in proporzioni più o meno diversa, anche un'attività analgesica. Quando si vuole un'azione più intensa si possono associare cortisonici ed antidolorifici, con miorilassanti, se è presente spasmo muscolare.
Siccome l'irritazione meccanica prodotta dai movimenti del collo contribuisce ad esacerbare i sintomi, risulta efficace per qualche tempo l'uso di un collare. Anche le tecniche fisioterapiche di trazione cervicale, laser-terapia e Tens riescono ad alleviare 
i sintomi.Passata la fase acuta esercizi di rinforzo associati a tecniche di pompage risultano efficaci nel riequilibrare il tratto cervicale.

  

mercoledì 31 ottobre 2012


i mali di stagione


LA LOMBALGIA
La lombalgia è stata definita il “male del secolo” ed è una delle espressione dello stress;
anch’esso tra i maggiori responsabili dei disagi fisici della popolazione dei paesi industrializzati.
Non è una malattia, ma il sintomo di un problema. Il dato allarmante è che la patologia si sta
diffondendo anche tra i bambini.
La lombalgia è una patologia molto frequente: la maggioranza delle persone ne ha avuto
nella sua vita almeno un episodio. Può insorgere in modo acuto (dolore improvviso che si protrae
per più giorni e che tende a risolversi) o cronico (dolore che insorge in modo lento, in maniera
subdola, e che tende a recidivare). I sintomi obbiettivi sono: dolore nella parte bassa della
schiena,spontaneo e accentuato dai movimenti; contrattura delle masse muscolari della zona
lombare; rigidità del tronco.
La lombalgia, se non "curata" può degenerare in "lombosciatalgia", soprattutto nelle persone
meno giovani: il nucleo polposo del disco, per le continue sollecitazioni, comincia ad uscire e a farsi
strada attraverso l'anello. Si può parlare di protusione discale o ernia espulsa. Il disco, quando esce
dalla sua sede, può comprimere le radici dei nervi (nella stragrande maggioranza le radici dello
sciatico), provocando dolore e formicolii lungo gamba, fino ad arrivare, in alcuni casi, a paralizzare
i muscoli della gamba o del piede.
La lombalgia riguarda un tratto ben preciso della colonna vertebrale relativo al dolore o
addirittura al blocco della regione lombare del rachide.
L’atteggiamento nei confronti della lombalgia acuta è cambiato: si è passati da un
trattamento passivo ad un trattamento attivo.
Il paziente lombalgico che prima si affidava passivamente al riposo a letto, ai farmaci, alle
mani del terapista, alla protezione esterna del tutore ortopedico ed alla “macchinetta“ miracolosa
capace di eliminare il dolore, ora deve diventare sempre più protagonista del suo trattamento,
conoscendo la sua colonna vertebrale, la struttura e il funzionamento, scoprendo qual è il
meccanismo che produce il dolore ed evitando di azionarlo, conoscendo gli esercizi per
decomprimere i dischi intervertebrali, per effettuare i compensi e per proteggere la sua colonna.
In presenza di lombalgia acuta è sufficiente la visita del proprio medico di base. È necessaria
la visita dello specialista solo in presenza di sciatalgia, ricadute frequenti, dolore continuo che non
riesce a scomparire o nei casi in cui il medico lo ritenga opportuno.
In presenza di dolore acuto è importante non drammatizzare: l’80% della popolazione adulta
soffre di dolori vertebrali, è quindi possibile che capiti a tutti, soprattutto a chi ha “maltrattato” la
propria colonna.
In parte le statistiche risultano positive, perché hanno evidenziato che nove pazienti su dieci
stanno meglio entro un mese anche senza effettuare nessun trattamento. Ma d’altra parte le stesse
statistiche mettono in guardia, perché coloro che hanno avuto un primo episodio di mal di schiena,
sono soggetti a ricadute con una percentuale elevata che oscilla tra il 60% e l’85%. Questo,
naturalmente, succede più frequentemente a chi si cura solo passivamente e a chi resta sempre
esposto agli stessi fattori di rischio senza cercare di ridurli.
La prognosi per i pazienti che presentano lombalgia acuta è così favorevole che l’uso della
diagnostica per immagini é raramente necessario.
Se il paziente non presenta anomalie neurologiche, se non c’è stato trauma e se non si
sospetta un tumore né un’infezione, non si dovrebbe usare alcun esame strumentale nelle prime sei
settimane.
Qualora, trascorso questo tempo, non ci siano miglioramenti clinici, nel caso in cui venga
preso in considerazione l’intervento chirurgico o quando si teme una patologia grave, si possono
effettuare esami per immagini.
Ormai è dimostrata una notevole incidenza di anomalie anatomiche (ernie discali, stenosi,
spondilolistesi) in individui asintomatici: esse potrebbero portare a terapie inappropriate o a far
preoccupare inutilmente per il suono minaccioso dei nomi di tali patologie.
In caso di lombalgia acuta, centrale, senza irradiazione agli arti inferiori, anni fa venivano
prescritti due giorni di riposo a letto; se la situazione era più grave, cioè in caso di lombosciatalgia,
si prescriveva una permanenza a letto più lunga: da sette, dieci giorni fino ad un massimo di
quindici.
Diversi studi hanno dimostrato che un riposo a letto prolungato (da quattro a sette giorni)
non procura alcun vantaggio rispetto ad un riposo breve o nullo (da zero a due giorni).
Ci sono numerosi studi che confermano il valore di un programma specifico di riabilitazione
in fase acuta. Gli esercizi specifici eseguiti correttamente non aumentano la lombalgia, ma hanno un
ruolo importante nel trattamento immediato del dolore acuto, garantendo l’integrità del sistema
muscolo-scheletrico. E’ scorretto pensare che l’esercizio attivo sia sbagliato per una persona che ha
dolore.
Il dolore è diventato il migliore alleato della rieducazione: infatti, è molto più facile
rieducare un soggetto che soffre di mal di schiena a sedersi e muoversi correttamente quando, in
fase acuta, i movimenti scorretti provocano dolore. Allo stesso modo è più facile convincerlo ad
eseguire regolarmente gli esercizi, quando si accorge che, con la loro ripetizione, può ridurre il suo
dolore.
Nel caso di lombalgia acuta con forti dolori la terapia può essere diversa:la scelta più
adeguata è legata alla intensità delle manifestazioni ed allo scopo terapeutico. Dolori acuti, intensi e
violenti, devono essere trattati, innanzitutto, con i farmaci antinfiammatori e decontratturanti. La
scelta è piuttosto ampia, ma deve essere sempre prescritta dal medico curante o, meglio ancora, dal
medico specialista.
Il trattamento fisioterapico della lombalgia include: laser-terapia, magneto-terapia,
ionoforesi, stretching, ginnastica posturale e, se non è presente dolore, mobilizzazione attiva e
ginnastica per allungamento, rinforzo muscoli del corpo, in particolare dei muscoli addominali.
La lombalgia spesso esprime un decadimento fisico. Il mal di schiena si evita soprattutto
mantenendo un buon tono posturale ed osteo-muscolare. Vanno evitati atteggiamenti viziati sul
lavoro ed è fondamentale un'attività fisica di base in palestra. La menopausa può essere un notevole
fattore aggravante e predisponente per via dell'osteoporosi, del decadimento muscolare e della
lassità legamentosa.
Alcuni degli esercizi che si possono effettuare per attenuare il dolore e per correggere delle
posture viziate sono i seguenti (ogni posizione andrebbe tenuta per almeno 60 secondi, con una fase
di riposo di 30 secondi):
retroversione del bacino: espirare lentamente e appiattire il tratto
lombare contro il piano d'appoggio (contraendo gli addominali).
Inspirare durante il rilasciamento.
autoallungamento: espirare lentamente ed appiattire il tratto
lombare, allungare il collo e retrarre il mento verso il torace
espirando. Inspirare durante il rilasciamento.
rilassamento: afferrate le ginocchia con le mani portandole il più vicino
possibile al petto espirando. Inspirare durante il rilasciamento.
Ps. L’esercizio può essere eseguito anche a gambe alternate.
autoallungamento: dalla posizione in ginocchio, seduti sui talloni, allungarsi
in avanti scivolando sulle mani

giovedì 18 ottobre 2012

Periatrite Epicondilite
da Dr. Giorgio Betge, chiropratico © 1995
PERIARTRITE
Si chiama periartrite la malattia che affligge più sovente l'articolazione della spalla. La troviamo soprattutto in pazienti di media età. I sintomi soggettivi principali sono il dolore e la perdita della mobilità nella giuntura omeroscapolare. La periartrite si presenta gradatamente, prima con dolori leggeri e poi con sintomi sempre più acuti, come conseguenza, per esempio, di una malattia reumatica. Si manifesta nello stesso modo anche dopo un'infezione di streptococchi alla gola (tonsillite) o dopo un ascesso ai denti. In caso di un trauma il blocco della mobilità awiene all'improwiso con infiammazione acuta e gonfiore accompagnati da dolori forti. Spesso succede anche all'indomani, dopo aver preso una corrente d'aria fredda, dopo il bagno o dopo essersi esposti alla corrente di un finestrino aperto o all' aria condizionata dell' automobile. E' evidente che, in conseguenza delle diverse origini dei sintomi alla spalla, che si assomigliano, occorre una diagnostica esatta attraverso cui possa essere scelta e prescritta una terapia adatta e specifica.
Alla periartrite vengono attribuite diverse denominazioni, secondo le origini o secondo le localizzazioni dei sintomi più importanti:
  • periartrite omero-scapolare (caloarea),
  • periartropatia scapolo-omerale,
  • capsulite fibrosa adesiva,
  • frozen shoulder,
  • tendoguainite bicipitale,
  • borsite acuta o cronica,
  • mono-artrite reumatica,
  • poliartrite scapolo-omerale bilaterale.

Anatotnia-Fisiologia

La cavità glenoida, che è la parte articolare della scapola destinata a congiugarsi con la testa dell'omero, accoglie solo una piccola porzione della testa stessa. Di conseguenza I'articolazione gleno-omerale risulterebbe instabile ed estremamente soggetta a lussazioni se la testa dell'omero non fosse compattata fermamente alla glenoide da una capsula articolare robusta e rinforzata da spessi ligamenti, da tendini e da muscoli. I più importanti dei quali, a questo scopo, sono il muscolo sopraspinato e il m. deltoide. I movimenti dell'insieme della spalla si svolgono nelle sue quattro articolazioni: scapolo-toracica, gleno-omerale, acromio-clavicolare e sterno-clavicolare. Durante i loro grandi movimenti, le diverse fasce muscolo-tendinee vengono per natura in contatto con protuberanze ossee e devono essere protette dall'usura. Questo è il compito delle borse, cuscinetti riempiti di liquido sinoviale. Le borse a loro volta, se sollecitate troppo, si infiammano dando origine a dolori e a limitazione funzionale.

Patologia - Diagnosi

Basta che si ammali una sola struttura della spalla ed il funzionamento della stessa in una determinata direzione rimane disturbato, di regola con un restringimento dei movimenti o addirittura con un blocco. Osservando e testando le funzioni precise di tutti i muscoli, tendini, fasce e borse, si scopre la parte difettosa. Da questo punto non siamo più lontani alla diagnosi esatta. Infiammazioni, gonfiori, calcificazioni, rotture legamentose o tendinee sono le affezioni più frequenti riscontrate alla spalla . L'artrosi degenerativa, che troviamo sovente nelle articolazioni della colonna vertebrale o nelle anche, costituisce l'eccezione nella spalla, perchè essa non è una struttura portante del peso corporeo ma e piuttosto da considerare come un'appendice al tronco. Oltre alle disfunzioni locali della spalla esistono sintomi dolorosi che vengono proiettati nella muscolatura o sulla pelle sovrastante, provenienti dalla vicina colonna cervicale. Si manifestano in forma di dolori, spasmi muscolari di riflesso oppure ipo o ipersensibilità cutanee. I dermatomeri delle radici nervose C4 e C5 si estendono sopra la spalla e coprono esattamente la regione interessata dalle tante altre patologie locali. Riflessi dolorosi remoti dall'origine, per esempio della cistifellea (infiammazione, calcoli), possono manifestarsi nella regione della scapola destra e far sembrare che ci siano disturbi nelle strutture locali. Dolori irradiati invece verso la spalla sinistra, potrebbero significare disturbi al cuore.
L'esame clinico comprende la ricerca della zona malata che si rileva dalla localizzazione del punto o dei punti dolenti sulla spalla. Un altro metodo è di osservare l'equilibrio, I'armonia e l'estensione dei movimenti del braccio in questione e di testare la forza muscolare dei singoli muscoli che sostengono e muovono il braccio. L'esame radiografico informa sull'integrità ossea e l'eventuale presenza di alterazioni degenerative o calcificazioni. L'artrografia con contrasto ci informa sull'integrità delle borse. L'esame sonografico ci informa sull'integrità dei tendini, borse e capsule articolari e infine la risonanza magnetica ci presenta tutti i tessuti molli sulla lastra. L'artroscopia permette di visualizzare direttamente, tramite una sonda. introdotta nell'articolazione, le strutture articolari in questione e di fare piccole riparazioni chirurgiche. L'esame di laboratorio serve per l'esclusione o la conferma d'infiammazioni, infezioni o forme reumatiche o metaboliche.

Terapia

Da queste considerazioni risulta evidente che per una cura efficace ci vogliono almeno due prerequisiti:
1. una diagnostica accurata (generale e locale) che detta la terapia
2. un arsenale terapeutico adeguato per far fronte alla moltitudine di affezioni.
La terapia si dirige, secondo la diagnosi, verso la parte malata senza perdere d'occhio il quadro generale e tutti i fattori che possono influenzare la sintomatologia. Così, se si tratta di una malattia metabolica come la gotta, viene naturalmente trattata questa prima di tutto. Dove la colonna cervicale sia in causa, la stessa dev'essere trattata con manipolazioni chiropratiche e quando si tratta di un riflesso da un organo remoto, viene trattato l'organo malato, p.es.il fegato o il cuore .

Se abbiamo un trauma acuto, una parte gonfia, infiammata o calda, si procede in ognuno di questi casi con l'applicazione del freddo. A casa si applica il ghiaccio per 10 minuti o l'argilla (terra curativa) per I ora. In alternativa si possono applicare anche il fango freddo (moor) o la ricotta fredda o uno spray raffreddante contro gli strappi muscolari degli sportivi, delle pomate o dei gel rinfrescanti. Mai fare impacchi caldi o mettere pomate con salicilati associati a sostanze che riscaldano. La parte con dolore acuto viene trattata sempre col freddo. L'intento è di produrre una vasocostrizione locale con interruzione dell'afflusso di sangue e lo sgonfiamento dei tessuti, un riassorbimento dei liquidi interstiziali, processo coadiuvato dalla vasodilatazione reattiva, ben controllata dal proprio sistema nervoso, nella fase successiva al raffreddamento.
Nell'ambulatorio, questo principio potrà essere potenziato, con l'applicazione dell'aria surgelata di -25° C (crioterapia), con un'efficacia sorprendente: non solo sgonfia e disinfiamma la parte lesa in fretta, ma la rende leggermente anestetizzata, cioè toglie il dolore acuto con un mezzo naturale termico. Questo trattamento viene effettuato con un gettito d'aria surgelata che dura 1-2 minuti: più a lungo non si resisterebbe a questa temperatura bassa sulla pelle. Nel maggior numero dei casi quando non si tratta di un'immobilizzazione a causa di una rottura ossea, uno strappo legamentoso o tendineo, e quando un intenento ortopedico o artroscopico non sia indicato, il passo terapeutico successivo è la mobilizzazione passiva della spalla. Per questa fase si richiede la massima collaborazione del paziente, perchè potrà sentire dolori anche considerevoli, a causa della prolungata rigidità della giuntura, I cui componenti hanno perso elasticità e si sono percosì dire "arrugginiti. Teniche di riflessologia sui punti neuromuscolari, di rilassamento e rinforzo muscolare, di chinesiologia appliccata, di stretching muscolo-legamentoso, di aggiustamento articolare, vengono usate per ristabilire l'integrità della funzione della spalla. Ci sono inoltre a disposizione l'agopuntura tradizionale cinese, la terapia neurale secondo Hunecke con l'iniezione della procaina, le infiltrazioni con diversi medicinali nelle borse, articolazioni, guaine tendinee etc. Ci sono però casi eccezionali, in cui il dolore è troppo forte da sopportare o il blocco è progredito al punto di non poter procedere in modo efficace con i tradizionali esercizi mobilizzanti. In questi casi rimane la possibilità di eseguire queste manovre sotto una minianestesia generale di 2-3 minuti, con l'aggiunta di un miorilassante nell'iniezione anestetica. Durante il periodo della narcosi, la muscolatura della spalla si rilassa completamente e viene manipolata negli estremi di movimento, con lo strappo delle adesioni fibrotiche dalla capsula articolare. Il dolore post-operatorio dev'essere calmato con medicamenti per via orale, rettale o per iniezioni.
Contemporaneamente vengono applicate le diverse terapie fisiche: il freddo nelle forme sopra descritte contro le infiammazioni, I'ultrasuono contro le tendiniti e le capsuliti, I'elettroterapia anestesica contro i muscoli doloranti e l'elettrostimolazione per rinforzarli e contemporaneamente rilassarli. Il laser e la magnetoterapia sono aggiunte terapeutiche valide. Qualche volta sono necessarie iniezioni di un anestetico o farmaci specifici. La radioterapia è stata superata dalle terapie alternative sopraelencate.

Superata la fase di mobilizzazione e di flogosi, con effetto benefico sia consenativo che alangesico, si procede alla riabilitazione attiva o ginnastica. Sotto la guida dell'fisioterapista, il paziente impara ad eseguire gli esercizi relativi alla sua patologia come: movimenti liberi, autostretching, tecniche di rilassamento e rinforzo muscolare. Gli esercizi, dopo averli imparati correttamente in palestm, vengono eseguiti giornalmente a casa. Dopo un corretto trattamento, la spalla diventa meno dolente e i movimeni di giorno in giorno più liberi. Dopo di che si potrebbe procedere all'abbandono dell'applicazione del l'argilla e di finire le cure ambulatoriali. Nella fase post-terapeutica si consiglia alcune procedure profilaterapeutiche come evitare lo sforzo all'arto interessato, ad esempio non di portare i pesi non segare il legno, non spingere ií tosaerba e non giocare a tennis ( lavori impegnativi).

EPICONDILITE
L'epicondilite come l'epitrocleite (o epicondilite mediale), è una entesopatia, cioè un'affezione dell'inserzione tendinea sull'epicondilo ed è da tenere distinta dalla periartrite dell'articolazione omero-radiale. È caratterizzata da dolori, infiammazione e/o gonfiore e restrizione del movimento. L'epicondilite potrebbe avere origine traumatica, metabolica, reumatica, un raffreddamento oppure un sovraccarico all'arto colpito. Non vengono dimenticate le diverse circostanze in cui si batte il gomito contro una parete, uno spigolo di un mobile o quando si sforza ledendo le strutture anatomiche della suddetta regione. Girare il braccio per awitare delle viti costituisce un movimento che può oltrepassare la capacità dei tessuti connettivi e dei muscoli del gomito causando infiammazione e dolori.

Anatonua-Fisiologia

Il gomito è un' articolazione che collega 3 ossa, I'omero, I'ulna e il radio tramite le giunture omero-radiale, omeroulnare e radio-ulnare. L'epicondile è la protuberanza esterna dell'omero dal quale la condizione dolorosa, appunto l'epicondilite, ha preso il nome. Le tre giunture permettono due movimenti distinti: uno del tipo cerniera, che fa muovere il braccio dalla flessione in estensione, e l'altro che si fa con un cavaturacciolo, cioè la pronazione e supinazione dell'avambraccio e della mano. L'articolazione del gomito ha una moltitudine d'inserzioni di legamenti, tendini e muscoli che legano le tre ossa assieme e che permettono il movimento tra braccio e avambraccio. Una borsa importante è la "bursa olecrani" perché quando si infiamma e si riempie di liquido sinoviale, può assumere dimensioni notevoli "come se si avesse una mela sotto la pelle del gomito".

Patologia

Le malattie che affliggono il gomito sono le stesse che interessano la spalla. Si differenziano tra i sintomi che sono localizzati all'esterno del gomito, attorno all'epicondilo laterale, come epicondilite laterale, e quelli localizzati all'interno del gomito, intorno all'epicondilo mediale e/o alla troclea, come epicondilite mediana o epitrocleite. La borsite l'abbiamo già menzionata sopra.
Spesso abbinati all'epicondilite laterale, ci sono delle fibromiositi dei muscoli supinatori ( M. brachioradialis e dei due Mm extensor carpi radialis) che alla palpazione sono tesi e molto dolorosi e devono essere trattati contemporaneamente quando si cura una epicondilite.

Diagnosi

La diagnosi viene tratta dall'anamnesi e dalla sintomatologia. La palpazione è parte importante nella determinazione dei tessuti ammalati. Anche i test del movimento passivo e della forza muscolare danno informazioni sulla patologia del gomito. La radiografia e la risonaza magnetica sono esami necessari solo in casi particolari. Siccome gli approcci terapeutici tra le classi di epicondilite di origine locale e quelle di origine sistemica sono assai differenti, I'esame di laboratorio è di routine per poter eliminare o confermare la presenza di fattori infiammatori o di forme reumatiche o metaboliche.

Trattamenti

L'epicondilite laterale o mediale acuta viene trattata primariamente con impacchi antiflogistici (argilla) a casa e con l'aria surgelata di -25°C nell'ambulatorio. Una volta calmata l'infiammazione, la manipolazione chiropratica dell'articolazione scioglie il blocco articolare e ristabilisce la funzione normale delle 3 giunture del gomito. La muscolatura (i 3 rotatori-estensori dell'avambraccio) viene opportunamente curata ai punti di riflesso, con massaggi manuali e/o elettroterapia.
I risultati delle cure sono migliori negli stadi acuti e richiedono tempo e pazienza nei casi cronici.

Prevenzione

Una specifica prevenzione per disturbi al gomito non esiste. Una volta guarito da un episodio di epicondilite non ci vogliono esercizi particolari perché è la natura del gomito muoversi per quasi tutti i lavori quotidiani e perciò non ha bisogno di essere esercitato ulteriormente.

La Chiropratica

La chiropratica si occupa della prevenzione, dell'esame e della diagnosi delle malattie, specialmente dei disturbi funzionali e di portamento della colonna vertebrale, del bacino e di tutte le articolazioni del corpo umano. La chiropratica cura le condizioni della sua competenza principalmente col trattamento manipolativo chiropratico, con fisioterapie e con tante altre misure incruenti naturali.

giovedì 11 ottobre 2012


Le arterie carotidi interne, insieme alle arterie vertebrali, sono i vasi principali che garantiscono l’apporto di sangue al cervello. Per stenosi della carotide s’intende il restringimento del lume dell’arteria carotide, con conseguente riduzione del calibro del vaso e minor apporto di sangue. Il cervello, che è il più delicato degli organi parenchimatosi, necessita di un continuo e costante apporto di sangue: riduzioni di flusso, dovute a stenosi o altre cause, possono determinare patologie cerebrali importanti.
placca determinante stenosi
PATOGENESI
La causa più frequente della stenosi carotidea è rappresentata dall’aterosclerosi, più spesso correlata a: ipertensione arteriosa, fumo di sigaretta, età avanzata, sesso maschile, elevati tassi ematici di colesterolo, dislipidemie, obesità, alcool, uso di contraccettivi orali. L’aterosclerosi è una malattia sistemica, che può interessare le pareti di tutte le arterie dell’organismo; consiste essenzialmente nella deposizione progressiva di lipidi nello spessore delle pareti delle arterie: si determina così la formazione di una placca che protrude nel lume del vaso e ne determina il restringimento, fino addirittura alla occlusione. Per quel che concerne l’arteria carotide, la sede dove più frequentemente si può formare la placca ateromasica è la biforcazione carotidea, laddove l’arteria carotide comune si divide in arteria carotide interna (che porta sangue al cervello) ed arteria carotide esterna (che irrora essenzialmente il massiccio facciale).
EPIDEMIOLOGIA
I dati epidemiologici indicano che la malattia cerebrovascolare rappresenta, nella società industrializzata, la terza causa di morte dopo i tumori e le cardiopatie. Insorge solitamente tra i 65 e gli 85 anni, eccezionalmente nell’età giovanile. Presenta un’incidenza di 0,005 a 40 anni e 1% a 70 anni. Nel 35% dei pazienti colpiti da ictus, globalmente considerati, residua una grave invalidità e una marcata limitazione nelle attività della vita quotidiana. In Italia avvengono circa 250 ictus al giorno ed in media il 20% non sopravvive alla fase acuta. Nei Paesi industrializzati, fra cui l’Italia, l’ictus è la terza causa di morte dopo le malattie cardiache e i tumori, essendo responsabile del 10-12% di tutti i decessi per anno (circa 400.000 morti per i Paesi della CEE). Inoltre l’ictus rappresenta la principale causa di invalidità nelle Comunità occidentali: dopo un ictus, nel 15% dei pazienti residua grave invalidità, mentre nel 40% residuano invalidità di grado lieve.
CONSEGUENZE CLINICHE E SINTOMI
Stenosi severe e, persino l’occlusione dell’arteria carotide, possono essere del tutto asintomatiche, per il buon compenso emodinamico, a livello cerebrale, sostenuto dall’arteria carotide controlaterale e dall’arteria vertebrale (anch’essa deputata alla perfusione cerebrale). Qualora questo compenso non sia sufficiente, si determina un minor afflusso di sangue al cervello (ischemia), con conseguente sofferenza cerebrale che si può tradurre essenzialmente in due quadri clinici principali:
§ TIA
§ Stroke o Ictus ischemico
Un TIA (Attacco Ischemico Transitorio) è dovuto ad una ischemia cerebrale transitoria di breve durata. Poiché l'evento acuto in genere si manifesta solo nella parte destra o nella parte sinistra del cervello, anche i sintomi sono spesso lateralizzati: perdita della sensibilità in un lato del corpo o del viso, paralisi di un lato del corpo o del viso (paralisi del braccio o della gamba, paralisi facciale), perdita della vista, visione sdoppiata (diplopia), visione annebbiata (amaurosi) difficoltà del linguaggio (afasia) o della articolazione delle parole (disartria), vertigini, vomito e perdita della coscienza. Tipicamente un TIA dura dai 5 ai 60 minuti, ma non più di 24 ore. I TIA possono preludere all’insorgenza di ictus: il rischio assoluto di ictus nei soggetti con TIA varia da 7% a 12% il primo anno e da 4% a 7% per anno nei primi 5 anni dopo l'evento iniziale.
L’Ictus ischemico o Stroke è dovuto all’insorgenza di una lesione grave persistente di parte dell'encefalo provocata dall'interruzione dell'irrorazione sanguigna. La sensibilità, il movimento o la funzione controllati dalla zona lesa sono persi. In circa un terzo dei casi l'ictus risulta mortale. Un ictus che colpisca l'emisfero cerebrale dominante, in genere il sinistro, può provocare alterazioni del linguaggio e della parola. Il movimento di un lato del corpo è controllato dall'emisfero cerebrale situato sul lato opposto. Quindi, una lesione delle zone che controllano il movimento poste nell'emisfero cerebrale destro provoca debolezza o paralisi della parte sinistra del corpo e viceversa. Questa debolezza o paralisi monolaterale, chiamata emiplegia, è una delle conseguenze più comuni di un grave ictus.
DIAGNOSI
Sia che il paziente giunga all’osservazione medica per insorgenza di sintomatologia neurologica, sia che, asintomatico, venga reclutato nello screening di pazienti a rischio di patologie cardio-vascolari, sono oggi disponibili numerose metodiche di indagine in ambito vascolare. L’esame che solitamente viene eseguito per primo è l’Eco-Color-Doppler, in quanto non è invasivo, è ripetibile, non utilizza radiazioni ionizzanti ed è un esame a basso costo. Indagini più approfondite sono possibili grazie all’Angio-RM (Angiografia con Risonanza Magnetica) che utilizza un mezzo di contrasto paramagnetico, iniettato in vena. Anche L’Angio-TC (Angiografia con Tomografia Computerizzata) con mezzo di contrasto può essere di notevole utilità a patto che venga eseguita con apparecchi di ultimissima generazione. Ma l’indagine più accurata è tuttora l’Angiografia: il mezzo di contrasto iodato iniettato direttamente nell’arteria carotide per mezzo di un catetere introdotto dall’arteria femorale, permette lo studio del lume dell’arteria carotide e la dimostrazione della presenza di placche aterosclerotiche, di stenosi o di occlusione del vaso. In particolare, l’entità della stenosi e la sua rilevanza funzionale possono essere valutate con estrema precisione.
TERAPIA
La stenosi carotidea va trattata quando il lume originario si è ridotto del 70% anche se il paziente non accusa sintomi. Quando la stenosi è inferiore al 70%, ma superiore al 60% va trattata solo se il paziente presenta determinati sintomi. Esistono attualmente due opzioni di trattamento per i pazienti con stenosi carotidea. La prima opzione è l’angioplastica con palloncino associata al posizionamento di uno stent, attraverso un catetere portato direttamente in arteria carotide interna. Questa procedura viene eseguita da un Radiologo Interventista. La seconda opportunità è l’intervento chirurgico che viene eseguito dal Chirurgo Vascolare o dal Neurochirurgo.QUESTO INDUCE   A TUTTE  LE  PERSONE DI FARE  UNA  ECO DOPLER  UNA  VOLTA  ALL'ANNO  ALLA  CAROTIDE     COME  LO FATTO IO PERSONALMENTE ,   scritto da  internet

giovedì 27 settembre 2012


Periartrite scapolo omerale/Tendinopatia cuffia rotatori

Home > Terapia > Cura e prevenzione > Periartrite scapolo omerale - Tendinopatia cuffia rotatori > Sintomi
SintomiL’estrema ampiezza di movimenti che il braccio può compiere dipende dalle caratteristiche “costruttive” dell’articolazione. Un ruolo fondamentale è svolto in particolare da 4 muscoli e dai rispettivi tendini che avvolgono la testa dell’omero, l’osso del braccio che si articola alla spalla, e che costituiscono la cosiddetta cuffia dei rotatori.La testa dell’omero infatti è quasi solo appoggiata alla cavità articolare della spalla (la cavità glenoidea),  mentre la capsula che contiene l’articolazione è lassa: ciò significa che il compito di mantenere l’omero nella posizione corretta e di dare stabilità all’articolazione è svolto soprattutto dalla cuffia dei rotatori.
Si tratta però di una struttura che può danneggiarsi con relativa facilità: in seguito a traumi acuti, per esempio cadute, e più spesso a causa di sollecitazioni croniche ripetute.
Il principale sintomo di una tendinopatia della cuffia dei rotatori è senza dubbio il dolore che in genere compare nell’esecuzione di alcuni movimenti come sollevare il braccio o portarlo dietro la schiena. Ciò comporta una diminuzione dell’ampiezza dei movimenti che possono essere effettuati dalla spalla; vi è la tendenza a usarla il meno possibile, col risultato di trovarsi una spalla sempre più bloccata fino ad arrivare alla cosiddetta “spalla congelata”, condizione in cui il movimento diventa quasi impossibile. Alcuni movimenti sono tipicamente causa di dolore: chi soffre di periartrite scapolo-omerale prova una fitta quando deve pettinarsi piuttosto che infilare la manica di una giacca o sollevare un peso.
Anche di notte il dolore si fa spesso sentire e può per esempio impedire di dormire appoggiati sulla spalla malata. Nei casi più gravi il dolore può essere presente anche di giorno. Spesso tende a irradiarsi verso la parte esterna del braccio in un punto all’incirca a metà strada fra la spalla e il gomito.
io avendo un laser  dell'ultima  generazione   come  la ten  faccio  queste  terapie  15  minuti  di laser   e  40  minuti di tens.

sabato 8 settembre 2012


Cervicalgia, torcicollo, dolori cervicali....attenzione al periodo estivo!

E' arrivata l'estate, le temperature si sono alzate e come ogni anno si cerca di sopravvivere con l'aiuto di condizionatori e ventilatori.
Anche se può sembrare scontato e banale ho voluto scrivere questo post per portare la vostra attenzione al rischio che correnti d'aria fredde possono comportare su un collo sudato!!!

Puntualmente durante l'estate si presentano in studio pazienti con blocchi cervicali acuti e torcicolli a causa di condizionatori e ventilatori.....ma a cosa si deve prestare attenzione?

Per prima cosa non dovete mai avere il getto di aria fredda o il ventilatore puntato direttamente sul vostro corpo, l'aria fredda infatti sul collo sudato può provocare un'irritazione sia dei muscoli che dei nervi con blocchi acuti veramente dolorosi ed invalidanti.
Un'altra brutta sorpresa potrebbe essere quella di svegliarsi la mattina con metà volto paralizzato, a causa di una paralisi "a frigore", la quale può impiegare un lungo periodo per guarire lasciando anche dei deficit alla muscolatura facciale!!!!!

Altra cattiva abitudine è quella di guidare con il finestrino aperto che nel momento in cui siamo sudati potrebbe portare a blocchi cervicali acuti o blocchi acuti alla spalla esposta.

Rimedio del giorno: il rischio di essere soggetti ad un blocco acuto aumenta se la nostra muscolatura cervicale è già sovraccaricata da un lungo periodo di stress e di lavoro (molto spesso sedentario). La muscolatura sofferente non viene percepita dal nostro cervello come dolente, ma se provate a toccarla a fondo molto probabilmente troverete punti molto dolenti e reattivi, pronti a manifestarsi appena sollecitati da un evento scatenante come un getto d'aria fredda sulla pelle sudata.

Il mio primo consiglio è di aumentare l'attività fisica, per muovere la muscolatura e scaricare lo stress, se ne avete la possibilità fate qualche massaggio per frizionare i muscoli aumentare l'apporto sanguigno e rilassare le fibre contratte, evitate assolutamente (soprattutto se siete sudati) sbalzi improvvisi di temperatura e correnti d'aria dirette.

VENERDÌ 23 SETTEMBRE 2011

Esercizio per il dolore cervicale alla rotazione

Dolore alla zona cervicale quando si ruota il collo? Hai problemi a fare la retromarcia o quando ti chiamano ti giri come un robot?
Nel video presente in questo post viene presentato uno degli esercizi più efficaci e straordinari per l'autotrattamento della rigidità e dolore cervicale alla rotazione.
L'utilizzo di un asciugamano migliora lo scivolamento delle articolazioni vertebrali rendendo il movimento più armonico ed impedendo di conseguenza compressioni anomale che fanno sorgere dolore a livello del collo.

CONTROINDICAZIONI:
  1. L'esercizio per essere efficace non deve provocare dolore, dunque se ruotando il collo avvertite dolore vuol dire che state sbagliando dunque non continuate.
  2. Se soffrite di vertigini quando girate il collo non fate questo esercizio
  3. Se soffrite di un dolore al collo che scende lungo il braccio (cervicobrachialgia) oppure se avete una diagnosi di ernia cervicale....non fate questo esercizio
  4. se soffrite di rigidità al collo, fate fatica a ruotare con dolore quando arrivate a fine corsa allora questo esercizio fa per voi
DOSAGGIO:

Il mio consiglio è di ripetere il movimento 5 volte per lato  per 3 volte al giorno.
Consiglio sempre un dosaggio ridotto ma ripetuto durante il giorno per ridurre l'irritazione delle strutture e non rischiare di irritare il collo.

Fatto con costanza questo esercizio aiuta realmente a recuperare la mobilità in rotazione del collo! ;-)




MERCOLEDÌ 7 SETTEMBRE 2011

Cervicalgia, Cefalea e Computer

Uno dei fattori che ha aumentato enormemente le presenza di problemi cervicali, cervicalgie, cervicobrachialgie, tunnel carpale, cefalee è stato l'aumento delle ore che le persone passano davanti al computer.
Avete mai fatto caso quando comprate un nuovo computer che all'interno delle confezioni molto spesso si trovano consigli sulla postura da adottare durante il lavoro con il desktop o laptop per prevenire anche gravi problemi alla colonna?
Effettivamente passare molte ore al computer crea un enorme sovraccarico alla zona cervicale-lombare e nel tempo tutto questo porta a degenerazione di dischi e vertebre!!!!!!
Quando devo spiegare questo ai miei pazienti e far comprendere l'importanza di una buona igiene comportamentale e posturale al computer racconto sempre il seguente esperimento effettuato molti anni fa in nord Europa:
per verificare l'effetto di una postura seduta rilassata con il capo protruso in avanti (molto simile a quella tenuta durante il lavoro al computer) si è chiesto a 9 volontari senza alcun problema cervicale di stare in tale posizione seduta per il tempo che riuscivano a mantenerla.
I risultati di tale studio furono i seguenti:  tutti i soggetti in un tempo tra i 5-50 minuti dovettero abbandonare la posizione per l'insorgere di dolore alla zona dei muscoli trapezi, in alcuni casi il dolore saliva alla testa ed in casi più rari scese lungo un braccio!!!!!
Questo esperimento nella sua semplicità ci fa comprendere quanto sia gravoso per la cervicale mantenere per un tempo anche non troppo lungo una postura seduta scorretta.
RIMEDIO DEL GIORNO
Ecco il primo e semplice rimedio per imparare a proteggere la propria schiena quando lavora al computer:
Alzatevi spesso ( circa ogni 20 min) anche per pochi istanti e ricordatevi ogni volta di sgranchire e stiracchiare le braccia.
Pur sembrando banale questo consiglio se applicato con costanza in breve tempo cambierà il vostro dolore al collo! Provare per credere.
Nei prossimi post continuerò a parlare dell'argomento con ulteriori consigli....
Alla prossima ;-)

DOMENICA 28 AGOSTO 2011

Tante informazioni per il benessere della cervicale


Dopo l'esperienza positiva del blog sul mal di schiena intitolato "rimediperilmaldischiena" ho deciso di creare un blog completamente dedicato alle problematiche della zona cervicale.
Come la lombalgia, anche la cervicalgia è un problema ormai enormemente diffuso e nella gran parte dei casi è collegato alle attività quotidiane, allo stress e alle posture che adottiamo quando stiamo seduti o in piedi.

Come per il mal di schiena nella mia esperienza clinica osservo sempre più come una corretta educazione potrebbe evitare tranquillamente l'insorgere di degenerazioni importanti alla colonna come un'ernia cervicale con conseguente cervicobrachialgiaformicolio alle mani, perdita di forza al braccio fino a complicanze ben più gravi.

Va ricordato inoltre che problemi alla zona cervicale possono poi essere origine di cefalee, emicranie, mal di testa, disturbi come diplopia, vertigine ecc.
L'affermarsi nella nostra società di attività lavorative sempre più sedentarie e l'utilizzo di computer, videogames, la guida prolungata in automobile ecc. ha accentuato il rischi di sovraccarico alla zona cervicale, se poi a tutto questo associamo l'aumento dello stress e l'assenza di attività fisica la ricetta per un buon dolore alla cervicale è fatta.

giovedì 30 agosto 2012

DITO A SCATTO


DITO A SCATTO

 

 

Che cosa è

 

Alla radice delle dita, i tendini flessori (che fanno piegare il dito) sono contenuti in una guaina, un po’ come il filo del freno della bicicletta. Il dito a scatto si presenta quando, per cause di tipo infiammatorio, la guaina che contiene i tendini flessori si restringe. Questo fenomeno ostacola il normale scorrimento dei tendini all’interno della guaina.

Quando, per piegare il dito, il tendine deve forzare la parte più ristretta della guaina (detta puleggia), si ha uno scatto doloroso.

Il dito può restare bloccato in posizione flessa, obbligando il paziente ad utilizzare l’altra mano per raddrizzarlo; questo può provocare un altro scatto, altrettanto doloroso.


 

Un tipico quadro di dito a scatto.

Il dito interessato resta piegato ed il tentativo di raddrizzarlo

è, di solito, doloroso.

 

Il restringimento della guaina “strozza” i tendini, che, a monte dell’ostacolo, si dilatano, formando un nodulo. Purtroppo il nodulo, con le sue dimensioni, riduce ulteriormente la possibilità di scorrimento. Il restringimento della guaina tendinea è spesso associato all’uso intenso o ripetuto della mano, che irrita la guaina stessa (movimenti di presa, uso delle forbici o di cacciavite).

Anche i piccoli traumi ripetuti (uso di graffettatrici o di timbri)  possono facilitare la comparsa del disturbo. In alcuni casi il dito a scatto si associa alla gotta o all’artrite reumatoide. Si tratta inoltre di un disturbo frequente nei musicisti.

 

 

 

 

 

Qui è disegnato il tendine, che nel dito a scatto presenta un ingrossamento ovale (nodulo).

Il nodulo rimane “incastrato” nella guaina che, da parte sua, si è ristretta, impedendo così lo scorrimento del tendine e, quindi, il movimento.


Nella foto è illustrato il percorso dei tendini flessori (in verde).

In rosso sono segnati i punti dolorosi nei casi di dito a scatto.

 

 

Il primo segno è il dolore alla base del dito o delle dita colpite. Il sintomo più comune è lo scatto doloroso che si presenta durante i movimenti. Spesso il dolore si estende al resto del dito e verso il polso ed il dito può restare bloccato in posizione piegata o diritta.

Lo scatto si presenta  solitamente dopo il riposo notturno, mentre la situazione migliora nel corso della giornata, con il movimento.

Per la diagnosi è sufficiente la descrizione che il paziente fa dei suoi disturbi e che viene confermata dai segni clinici caratteristici.

I casi  iniziali possono essere trattati con un breve periodo di immobilizzazione e con i farmaci anti-infiammatori. Quando lo scatto è frequente o in caso di blocco, è necessario l’intervento chirurgico.

L’intervento è eseguito in Day Hospital ed in anestesia locale ed ha una durata di circa 10 minuti.

Esso consiste nell’aprire la parte ristretta della puleggia, per allargare lo spazio a disposizione per lo scorrimento del tendine.

Dopo l’intervento è necessario fare esercizio, con cautela, per muovere il dito operato. Vanno evitati gli sforzi o i movimenti bruschi.

La medicazione non deve essere bagnata o sporcata.

I punti di sutura vengono rimossi dopo circa 12 giorni.